L'orologio di Pontormo by Salvatore Silvano Nigro

L'orologio di Pontormo by Salvatore Silvano Nigro

autore:Salvatore Silvano Nigro [Nigro, Salvatore Silvano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2013-04-14T22:00:00+00:00


Il suono del pensiero

Un maestro cartaio visse l’esperienza visionaria di un dialogo con i propri Tarocchi: nelle Carte parlanti di Pietro Aretino, pubblicate a Venezia nel 1543. I Tarocchi erano fieri d’intrattenere e ricreare. E arrivarono a millantare virtù taumaturgiche, e addirittura risuscitative: “Gli stomachi, i fianchi, con ogni altra sorte di contagiane, isfugge dinanzi a lo apparir de le carte, e siamo certe che chi ci desse a coloro che transiscono nel sonno mortale, che aprirebber gli occhi.” La ricetta è impegnativa: il gioco tiene lontano l’ingombro dei malanni e riesce a sgominare la morte. A farci caso, le Carte tentano una loro rappresentazione trionfale dentro la tradizione visionaria dei Triumphi del Petrarca. Ma la loro prosopopea ha diversa liturgia, sostanzialmente polemica e parodistica: al Triumphus Mortis del Petrarca, richiamato in compendio (e con l’inversione dei termini) dalla corruzione degli “stomachi” e dei “fianchi”, contrappongono la “moralità piacevole” di un Triumphus Ludi.

Sugli stessi versi del Petrarca, dodici anni dopo, azzardò gioco e dialogo il Pontormo. Vi si impegnò con il Bronzino, nella Vita di Benvenuto Cellini definito “suo”: del maestro; con lo stesso possessivo d’affetto e di scuola che, nel Libro mio, il Pontormo riservava a Battista Naldini. Il dialogo ebbe risposte in burla, da parte di Bronzino. L’allievo non mancò neppure di proporre, contro gli “stomachi guasti”, lo scongiuro distensivo delle “carte in mano”: vergate, e da gioco anche. E fu tutto un trionfare; da aretinesco divenuto bernesco. Laddove il Pontormo non si spostò dalla terribilità visionaria di un vero e proprio Trionfo della Morte, spiato negli elementi fermentativi della propria carne; e nel traballo pernicioso dell’aria che bruisce per le infauste congiunzioni stellari: “si sentiva uno fredo velenoso sordo combattere con l’aria rinfocolata… che era come sentire frigere el fuoco ne l’aqua, tal che io sono stato con gran paura”. La morte arriva con una vibrazione della materia: con scintille che sfriggono in suoni terrificanti. Come nel sogno diluviale da Dürer appuntato e trasposto in acquerello, subito dopo il risveglio e ancora sotto l’effetto dello spavento notturno per l’immane cataclisma: “cosa rara in un sogno… egli sente la scossa e ode il tuono delle cascate celesti”, ha commentato Marguerite Yourcenar. O come nelle varie descrizioni “rovinose” del diluvio fatte da Leonardo da Vinci, e da Ejzenštejn assimilate a “sceneggiature audiovisive”: “…e l’aver raggiunto una compiuta coordinazione tra suono e immagine è un fatto notevole per qualsiasi pittore, anche per un Leonardo”, ha concluso il regista. Ma gli appunti di Leonardo appartengono a un diario di lavoro consapevole di attese millenaristiche. E il sogno di Dürer si è acceso nelle segrete stanze della notte e della coscienza, dove valevano i residui diurni degli sconvolgimenti storici e le pressioni fisiologiche: “A quelli che han piena la vessica, sogni di laghi, di fiumi, di mare, piogge, passar per acque”, diagnosticava Cesare Merli nel Lume notturno overo prattica di sogni del 1568. Quella di Pontormo è invece una visione a occhi aperti, registrata in un giornale intimo: stando in su l’orecchio e nell’orrore per la fisicità della morte; e così trapassando al trapassar dei giorni.



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